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martedì 20 marzo 2018

NASPI indennità di disoccupazione: quando si deve sospendere per altro lavoro. Nota INPS

L’INPS con Messaggio n. 1162 del 16 marzo 2018 fornisce alcuni chiarimenti sull’indennità di disoccupazione NASPI e sulla compatibilità in caso di titolarità di rapporto di lavoro intermittente o nelle ipotesi di rioccupazione come OTD in agricoltura. 
1)   Richiesta di NASpI da parte di un lavoratore che, contestualmente al rapporto di lavoro subordinato involontariamente perso, risulti titolare anche di un rapporto di lavoro subordinato di tipo intermittente con indennità di disponibilità o senza indennità di disponibilità.
Nell’ipotesi in cui il lavoratore – titolare di un rapporto di lavoro subordinato e di un contratto di lavoro intermittente con obbligo di risposta e, quindi, con indennità di disponibilità – faccia richiesta di NASpI a seguito della cessazione del contratto di lavoro subordinato di tipo non intermittente, la domanda può essere accolta, ricorrendo i requisiti previsti dall’articolo 3 del D.Lgs. n. 22 del 2015, a condizione che il lavoratore stesso comunichi all’INPS, entro trenta giorni dalla domanda di prestazione, il reddito annuo presunto derivante dal suddetto contratto di lavoro intermittente, comprensivo della indennità di disponibilità. In tale ipotesi trova applicazione esclusivamente l’istituto del cumulo della prestazione con il suddetto reddito complessivo, che non deve essere superiore al limite annuo di € 8.000, e la prestazione NASpI verrà corrisposta nella misura e secondo le modalità di cui agli articoli 9, comma 2, e 10 del D.Lgs. n. 22 del 2015.
2)   Lavoratore che, dopo aver richiesto la NASpI al termine di un contratto stagionale, viene riassunto dallo stesso datore di lavoro con contratto di lavoro intermittente – con reddito annuale inferiore a quello minimo escluso da imposizione – per le sole giornate in cui risulti necessario ricorrere a ulteriore manodopera.
In detta ipotesi non trova applicazione l’istituto del cumulo della prestazione NASpI con il reddito derivante da lavoro intermittente in quanto la condizione richiesta dall’articolo, 9 comma 2, del D.lgs. n. 22 del 2015 [1] è che il nuovo datore di lavoro sia diverso dal datore di lavoro per il quale il lavoratore prestava la sua attività quando è cessato il rapporto di lavoro che ha determinato il diritto alla NASpI.
Qualora, pertanto, il contratto di lavoro intermittente sia di durata pari o inferiore a sei mesi si applica l’istituto della sospensione della prestazione. In particolare, laddove il rapporto di lavoro intermittente sia con obbligo di risposta alla chiamata, e quindi con indennità di disponibilità, la prestazione sarà sospesa per il periodo di durata del rapporto. Qualora invece il rapporto di lavoro intermittente sia senza obbligo di risposta alla chiamata, e quindi senza indennità di disponibilità, la prestazione sarà sospesa per le giornate di effettiva prestazione lavorativa.
3)   Compatibilità della NASpI con il rapporto di lavoro subordinato, anche di tipo intermittente, inizialmente inferiore a sei mesi che, a seguito di proroga, superi il limite semestrale.
La prestazione viene sospesa d’ufficio, per la durata del rapporto di lavoro. Si precisa che nel caso di rapporto di lavoro subordinato, anche di tipo intermittente con obbligo di risposta e indennità di disponibilità, la sospensione opera per tutta la durata del rapporto di lavoro; nel caso di rapporto di lavoro di tipo intermittente senza obbligo di risposta e senza indennità di disponibilità, la sospensione opera per le giornate di effettiva prestazione lavorativa.
4)   Percettore di NASpI che si rioccupi a tempo determinato come OTD in agricoltura.
Tale fattispecie rientra nell’ambito della disciplina generale prevista dall’articolo 9 del D.Lgs. n.  22 del 2015.
Laddove la durata del nuovo rapporto di lavoro subordinato come OTD non superi i sei mesi, l’indennità è sospesa d’ufficio, a prescindere dal reddito che l’interessato ricava dall’attività svolta. Ai fini della determinazione del periodo di sospensione, in linea con quanto previsto per istituti analoghi dalla prassi consolidata [2] e avuto riguardo alla previsione contenuta all’ultimo periodo del comma 1 del citato articolo 9 del D.Lgs. n. 22 del 2015, vanno considerate le sole giornate di effettivo lavoro in agricoltura.
Nel caso in cui la nuova occupazione come OTD abbia una durata superiore a sei mesi e dalla stessa il percettore NASpI ricavi un reddito inferiore a quello minimo escluso da imposizione, si richiamano le indicazioni contenute al punto 2.10. a.2 della circolare n. 94 del 2015 che, in conformità al disposto normativo, illustrano i criteri e le condizioni per la cumulabilità della prestazione.
Nel caso, infine, in cui la nuova occupazione come OTD abbia una durata superiore a sei mesi e dalla stessa il percettore NASpI ricavi un reddito superiore a quello minimo escluso da imposizione, si richiamano le indicazioni contenute al punto 2.10. a.1 della circolare n. 94 del 2015 che, in conformità al disposto normativo, prevedono la decadenza dalla prestazione NASpI.
5)   Percettore di NASpI che si rioccupi con contratti di lavoro a tempo determinato che si susseguono senza soluzione di continuità con lo stesso o diverso datore di lavoro
Si conferma che l’istituto della sospensione della prestazione NASpI, di cui all’articolo 9, comma 1, del D.Lgs. n. 22 del 2015, non può superare il limite di sei mesi.

venerdì 16 marzo 2018

Il licenziamento per ritorsione è nullo: obbligo di reintegra

Il licenziamento per ritorsione, diretta o indiretta , costituisce l'ingiusta e arbitraria reazione del datore di lavoro ad un comportamento legittimo del lavoratore ( nel caso di ritorsione diretta) o di altra persona ad esso legata  (ritorsione indiretta).
Il licenziamento per ritorsione richiede  l’accertamento di due presupposti:
  1. il motivo di ritorsione (motivo illecito);
  2. la assenza di altre ragioni lecite determinanti (esclusività del motivo).
Se ne viene così accertata la natura ritorsiva,  tale licenziamento è  nullo ai sensi del combinato disposto dell'art. 1418, comma 2, c.c., art. 1345 ed art. 1324 c.c..
Siffatto tipo di licenziamento, anche definito "per rappresaglia", infatti,  è stato ricondotto dalla giurisprudenza di legittimità , data l'analogia di struttura, alla fattispecie di licenziamento discriminatorio, vietato dall’art. 4 della l. 604/1966, dell’art. 15 della l. 300/1970 e dell’art. 3 della l. 108/1990 - interpretate in maniera estensiva.
Per questo ad esso si applicano le stesse  conseguenze ripristinatorie e risarcitorie di cui all'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, fatte salve dalla riforma del Jobs act anche per il contratto a tutele crescenti istituito dal decreto legislativo 23-2015.

Onere della prova e tutela reintegratoria

L'onere della prova  che il licenziamento sia di natura ritorsiva  incombe sul lavoratore; devono infatti essere provati dal lavoratore gli elementi illeciti e la assenza di altri motivi, come già detto.
La cassazione riconosce però che la natura ritorsiva può essere desunta anche da semplici presunzioni (Cass. civ., sez. lav., 8 agosto 2011, n. 17087 "trattasi di prova non agevole, sostanzialmente fondata sulla utilizzazione di presunzioni" (...) "un ruolo non secondario" è dato dalla "dimostrazione della inesistenza del diverso motivo addotto a giustificazione del licenziamento o di alcun motivo ragionevole").
Inoltre un'altra sentenza ha  evidenziato che  quello del lavoratore è un onere di prova successivo:  in quanto anche il datore di lavoro deve  provare l'esistenza della giusta causa o del giustificato motivo alla base del recesso.

Il caso di licenziamento per ritorsione nella sentenza n. 4883 2018

Un lavoratore veniva accusato dall'azienda di avere simulato uno stato di malattia e ,a seguito del deteriorarsi del rapporto gli veniva richiesto di dare le dimissioni proponendo una transazione economica che veniva rifiutata. Di fronte a tale rifiuto,  il datore di lavoro lo licenziava per giusta causa.
Il giudice del lavoro a cui ricorreva il lavoratore dichiarava nullo il licenziamento per il carattere ritorsivo. La Corte d'appello confermava la pronuncia del giudice di prima istanza   in quanto risultava dimostrata, dalle  circostanze di fatto riferite dai testi  e dai dati documentali acquisiti agli atti, la effettività dello stato patologico in cui versava il lavoratore  ed il carattere ritorsivo del recesso.
La Cassazione cui si rivolgeva la società rigettava il ricorso,  argomentando che i rilievi formulati dal ricorrente, riferiti a vizi prospettati come violazione di legge, sono volti, essenzialmente, a sindacare un accertamento di fatto condotto dal giudice del merito.
Inoltre, nel  merito,  da un canto, lo stato morboso in cui versava il lavoratore non era simulato, sulla scorta di dati obiettivi e di logiche considerazioni che muovevano dall'intento manifesto del lavoratore, di continuare nello svolgimento della attività alle dipendenze della società, così escludendosi la ricorrenza della giusta causa di licenziamento; dall'altro, che il quadro probatorio delineato era univoco nel senso di collegare l'atto di recesso datoriale al rifiuto da parte del dipendente, di accettare una transazione delle questioni economiche inerenti al pregresso rapporto di lavoro, così configurandosi l'intento ritorsivo che lo ispirava.

martedì 13 marzo 2018

Bonus giovani 2018, ecco la circolare INPS con tutti i dettagli


L'INPS ha rilasciato la tanto attesa Circolare numero 40 del 02-03-2018 con la quale spiega nel dettaglio tutti i risvolti pratici del cosiddetto Bonus Giovani 2018. Andiamo a vedere come funziona l'esonero contributivo per le nuove assunzioni di giovani.

https://www.lavoroediritti.com/leggi-e-prassi/bonus-giovani-circolare-inps