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martedì 24 novembre 2015

Voucher: nuova frontiera del precariato?

Era il lontano agosto 2008 quando i buoni lavoro (c.d. voucher) videro per la prima volta la luce. Da allora, secondo uno studio dell’INPS, sono stati venduti 212,1 milioni di buoni lavoro, superando il milione di lavoratori retribuiti in un anno. Uno “strumento di pagamento”, questo, a cui i datori di lavoro hanno fatto sempre più affidamento negli anni, tant’è che è progressivamente aumentato nel tempo, registrando un tasso medio di crescita del 70% dal 2012 al 2014 e del 75% nel primo semestre del 2015 rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente. Fatto positivo? Niente affatto. Secondo il numero uno dell’INPS, Tito Boeri, i voucher sono un fenomeno da "guardare con grande attenzione" perché il loro incremento "può significare problemi futuri". Ebbene sì, proprio quei buoni lavoro impiegati per pagare le prestazioni occasionali, come quelle di badanti, collaboratori domestici, giardinieri o semplicemente i lavoratori agricoli stagionali, rischiano di diventare “la nuova frontiera del precariato“. È facilmente comprensibile come “l’abuso” dei voucher deriva sostanzialmente da una riduzione del costo del lavoro in capo all’impresa e da una mancanza di vincoli che, invece, un qualsiasi contratto di lavoro impone a quest’ultima. Infatti, unico obbligo è quello della preventiva comunicazione telematica delle prestazioni occasionali di tipo accessorio, la quale dovrà essere resa alladirezione territoriale del lavoro (DTL) competente.
Si tratta, in realtà, di una sorte di “lavoro in nero legalizzato” in quanto – come ha giustamente affermato nei mesi scorsi Claudio Treves, segretario generale di Nidil Cgilnulla impedisce ai datori di lavoro di sfruttare i voucher per sostituire un singolo dipendente con più persone pagate con il buono”. Un fenomeno, quindi, che non potrà essere controllato, o meglio fermato, senza un opportuno intervento legislativo che, alla stato attuale, è assente da questo punto di vista. Anzi, con l’ultimo intervento normativo in merito alle prestazioni occasionali, che è quello del Jobs Act (D.Lgs. n. 81/2015), aumenta considerevolmente questo rischio. Infatti, l’aumento del limite economico massimo percepibile dal prestatore di lavoro è passato da 5.000 euro a 7.000 euro, con riferimento alla totalità dei committenti, nel corso di un anno civile (1° gennaio – 31 dicembre). Inoltre, anche le modalità d’acquisto dei buoni lavoro sono stati notevolmente semplificati grazie ai nuovi canali telematici introdotti.
Il timore concreto è che i voucher stiano realmente sostituendo i contratti “part-time” e “a chiamata”, con il risultato di dare una copertura al lavoro nero, visto l’innalzamento del predetto limite. Un effetto sicuramente contrario alle intenzioni del legislatore, considerato che i tagliandi sono stati principalmente ideati con l’intento di favorire l’emersione di mansioni tipicamente legate al lavoro nero.
Ma se andiamo a vedere le modalità di utilizzo e di impiego dei voucher oltre confine, possiamo notare che il fenomeno del “lavoro nero legalizzato” poteva essere evitato, o quanto meno contenuto, mediante una normativa ad hoc. Basta pensare che negli altri Paesi europei i voucher sono rimasti relegati nell’ambito dei lavori domestici, dell’assistenza ai bambini, del giardinaggio. In Italia, invece, la Riforma Fornero (L. n. 92/2012) ha allargato il campo di applicazione a qualsiasi tipo di attività e committente. Altra importante differenza rispetto ai modelli europei, con particolare riferimento a quello belga, è che il lavoratore deve essere dipendente di una società di servizi autorizzata; inoltre, la legge prevede che, nel giro di un periodo da tre a sei mesi, il suo contratto passi a tempo indeterminato. Infine, anche in Francia i voucher sono limitati esclusivamente al settore domestico, e lo Stato per far emergere il lavoro nero ha pensato di restituire alla famiglia il 50% di ogni ora di lavoro pagata.
Quali saranno le prossime mosse del nostro Governo? Cosa farà per far emergere tutti quei lavoratori che, pur lavorando in maniera continua, vengono retribuiti con i voucher?
Possiamo concludere che, come sempre, a farne le spese sono i soliti noti: e per l’appunto i lavoratori, che, pur di lavorare e portare a casa l’indispensabile per sopravvivere, accettano di sottostare alle pretese dei datori di lavoro.
 

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