Negli ultimi tempi, l’impiego dei social network è divenuto tale da parlare oramai di abuso, specialmente per le applicazioni di chat come Whatsapp. Essa ha molteplici usi che possono essere sia utili sia dannosi.
Per quanto riguarda i rapporti di lavoro, da alcune sentenze recenti si evince che conversare su Whatsapp rischia di essere estremamente pericoloso, soprattutto quando le confidenze riguardano questioni lavorative o si svolgono durante l’orario di lavoro. I giudici stanno infatti allargando le possibilità dell’utilizzo in giudizio delle conversazioni fra privati in gruppi o con singoli destinatari: tutti possono dar luogo a licenziamenti o sanzioni disciplinari. Dal momento che i messaggi Whatsapp sono prove documentali che possono essere prodotte anche quando il datore di lavoro non è tra i destinatari della chat, ha quindi valore giudiziario, per esempio, la registrazione di una conversazione Whatsapp inviata da un dirigente all’amministratore unico che denota un atteggiamento ostile o di protesta dei lavoratori verso l’azienda e ne giustifica il licenziamento.
Ciò perché l'ordinanza del 27 giugno 2017 del Tribunale di Catania ha ritenuto legittimo, sotto il profilo della sussistenza della forma scritta e della validità della sua comunicazione, il licenziamento intimato a mezzo Whatsapp.
Essa ha stabilito che un dipendente può essere lasciato a casa anche tramite social network, ritenendo che il licenziamento "intimato su Whatsapp" assolva agli oneri di forma che ogni interruzione di rapporto di lavoro deve rispettare. Per licenziare non è infatti necessario per il datore di lavoro adoperare determinate formule, visto che la volontà di licenziare può essere comunicata al lavoratore anche in forma indiretta, purché chiara.
Legittima è infine la sanzione disciplinare impartita ad un lavoratore che chatta via Whatsapp, risultando online, o che posta messaggi sui social network durante l’orario di lavoro in quanto è legittimo pretendere che le energie del dipendente si rivolgano soprattutto alle attività lavorative Per quanto riguarda l’utilizzabilità in giudizio, di recente, nella valutazione delle strategie difensive in un processo, si tengono sempre più in considerazione non solo le conversazioni orali che possono essere facilmente registrate di nascosto con uno smartphone e, se non contestate, possono inchiodare l’avversario; ma anche gli scritti che possono ugualmente fornire una valida prova. Vi sono molteplici sentenze al riguardo che affermano la legittimità di questa testimonianza documentale, ai sensi dell'articolo 234 del codice di procedura penale, il quale contempla la possibilità di acquisire in giudizio anche documenti che rappresentano fatti, persone o cose attraverso la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo.
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