LE ANALISI
Jobs Act: la proposta sul lavoro di
Matteo Renzi
IL TESTO DELLA BOZZA
Partiamo da due premesse.
Una di metodo. Gli spunti
che trovate in questa enews saranno inviati domani ai parlamentari, ai circoli,
agli addetti ai lavori per chiedere osservazioni, critiche, integrazioni.
Dunque non è un documento chiuso, ma aperto al lavoro di chiunque. Anche vostro.
Una di merito. Non sono i
provvedimenti di legge che creano lavoro, ma gli imprenditori. La voglia di
buttarsi, di investire, di innovare. L’Italia può farcela, ma deve uscire da
questa situazione di bella addormentata nel bosco. Deve rompere l’incantesimo.
Per farlo c’è bisogno di una visione per i prossimi anni e di piccoli
interventi per i prossimi mesi.
Punto di partenza:
l’Italia ha tutto per farcela. È un Paese che ha una forza straordinaria ma è
stato gestito in questi anni da una classe dirigente mediocre che ha fatto leva
sulla paura per non affrontare la realtà (straordinaria la pennellata di De
Rita nella relazione Censis di quest’anno). Un cambiamento radicale è possibile
partendo dall’assunto che il sistema Paese ha le risorse per essere leader in
Europa e punto di attrazione nel mondo. E che la globalizzazione non è il
nostro problema, ma la più grande opportunità per l’Italia. Un mondo piatto,
sempre più numeroso e sempre più ricco, che ha fame di bello, quindi di Italia.
A noi il compito di non sprecare questa possibilità; abbiamo già sprecato la
crisi, adesso non possiamo sciupare anche la ripresa.
Ma l’Italia vive un paradosso.
Per responsabilità (diffusa) della classe dirigente, abbiamo perso molto tempo.
E i dati dell’Istat di oggi – che proiettano una disoccupazione giovanile ai
record dal 1977 – sono una fotografia devastante. Bisogna correre,
allora. Fermare l’emorragia dei posti di lavoro. E poi iniziare a risalire la
china.
Il PD crede possibile che
il JobsAct sia uno strumento per aiutare il Paese a ripartire.
Ma sappiamo benissimo che la
credibilità della classe politica parte dalla capacità di dare il buon esempio.
Ecco perché è fondamentale che si faccia rapidamente la legge elettorale, si
taglino per un miliardo i costi della politica, si eliminino le rappresentanze
politiche di Province e Senato, si riduca il numero e il compenso dei
consiglieri regionali. Se dobbiamo cambiare – e noi dobbiamo cambiare – bisogna
partire dalla politica.
Qui c’è un sommario, con le prime
azioni concrete, formulato insieme ai ragazzi della segreteria a partire da
Marianna, che si occupa di lavoro, e di Filippo, che è responsabile economia.
Nella prossima settimana lo arricchiremo con le osservazioni ricevute e lo
discuteremo nella direzione del PD del 16 gennaio. Nessuno si senta escluso: è
un documento aperto, politico, che diventerà entro un mese un vero e proprio
documento tecnico.
L’obiettivo è creare posti di
lavoro, rendendo semplice il sistema, incentivando voglia di investire dei
nostri imprenditori, attraendo capitali stranieri (tra il 2008 e il 2012
l’Italia ha attratto 12 miliardi di euro all’anno di investimenti stranieri.
Metà della Germania, 25 miliardi un terzo della Francia e della Spagna, 37
miliardi). Per la Banca Mondiale siamo al 73° posto aal mondo per facilità di
fare impresa (dopo la Romania, prima delle Seychelles). Per il World Economic
Forum siamo al 42° posto per competitività (dopo la Polonia, prima della
Turchia). Vi sembra possibile? No, ovviamente no. E allora basta ideologia e
mettiamoci sotto
Parte A – Il Sistema
1. Energia. Il
dislivello tra aziende italiane e europee è insostenibile e pesa sulla
produttività. Il primo segnale è ridurre del 10% il costo per le aziende,
soprattutto per le piccole imprese che sono quelle che soffrono di più
(Interventi dell’Autorità di Garanzia, riduzione degli incentivi cosiddetti
interrompibili).
2. Tasse. Chi produce
lavoro paga di meno, chi si muove in ambito finanziario paga di più,
consentendo una riduzione del 10% dell’IRAP per le aziende. Segnale di equità
oltre che concreto aiuto a chi investe.
3. Revisione della
spesa. Vincolo di ogni risparmio di spesa corrente che arriverà dalla
revisione della spesa alla corrispettiva riduzione fiscale sul reddito da
lavoro.
4. Azioni dell’agenda
digitale. Fatturazione elettronica, pagamenti elettronici, investimenti sulla
rete.
5. Eliminazione
dell’obbligo di iscrizione alle Camere di Commercio. Piccolo risparmio per le
aziende, ma segnale contro ogni corporazioni. Funzioni delle Camere assegnate a
Enti territoriali pubblici.
6. Eliminazione della
figura del dirigente a tempo indeterminato nel settore pubblico. Un dipendente
pubblico è a tempo indeterminato se vince concorso. Un dirigente no. Stop allo
strapotere delle burocrazie ministeriali.
7. Burocrazia. Intervento
di semplificazione amministrativa sulla procedura di spesa pubblica sia per i
residui ancora aperti (al Ministero dell’Ambiente circa 1 miliardo di euro
sarebbe a disposizione immediatamente) sia per le strutture demaniali sul
modello che vale oggi per gli interventi militari. I Sindaci decidono
destinazioni, parere in 60 giorni di tutti i soggetti interessati, e poi
nessuno può interrompere il processo. Obbligo di certezza della tempistica nel
procedimento amministrativo, sia in sede di Conferenza dei servizi che di
valutazione di impatto ambientale. Eliminazione della sospensiva nel giudizio
amministrativo.
8. Adozione
dell’obbligo di trasparenza: amministrazioni pubbliche, partiti, sindacati
hanno il dovere di pubblicare online ogni entrata e ogni uscita, in modo
chiaro, preciso e circostanziato.
Parte B – I nuovi posti di
lavoro
Per ognuno di questi sette
settori, il JobsAct conterrà un singolo piano industriale con indicazione delle
singole azioni operative e concrete necessarie a creare posti di lavoro.
a) Cultura, turismo,
agricoltura e cibo.
b) Made in Italy (dalla
moda al design, passando per l’artigianato e per i makers)
c) ICT
d) Green Economy
e) Nuovo Welfare
f) Edilizia
g) Manifattura
Parte C – Le regole
1.
Semplificazione
delle norme. Presentazione entro otto mesi di un codice del lavoro che
racchiuda e semplifichi tutte le regole attualmente esistenti e sia ben
comprensibile anche all’estero.
2.
Riduzione delle
varie forme contrattuali, oltre 40, che hanno prodotto uno spezzatino
insostenibile. Processo verso un contratto di inserimento a tempo indeterminato
a tutele crescenti.
III. Assegno
universale per chi perde il posto di lavoro, anche per chi oggi non ne
avrebbe diritto, con l’obbligo di seguire un corso di formazione professionale
e di non rifiutare più di una nuova proposta di lavoro.
IV. Obbligo di
rendicontazione online ex post per ogni voce dei denari utilizzati per la
formazione professionale finanziata da denaro pubblico. Ma presupposto
dell’erogazione deve essere l’effettiva domanda delle imprese. Criteri di
valutazione meritocratici delle agenzie di formazione con cancellazione dagli
elenchi per chi non rispetta determinati standard di performance.
V. Agenzia Unica
Federale che coordini e indirizzi i centri per l’impiego, la formazione e
l’erogazione degli ammortizzatori sociali.
VI. Legge sulla
rappresentatività sindacale e presenza dei rappresentanti eletti
direttamente dai lavoratori nei CDA delle grandi aziende.
Su questi spunti, nei prossimi
giorni, ci apriremo alla discussione. Con tutti. Ma con l’idea di fare. Certo
ci saranno polemiche, resistenze. Ma pensiamo che un provvedimento del genere
arricchito dalle singole azioni concrete e dalla certezza dei tempi della
pubblica amministrazione possa dare una spinta agli investitori stranieri. E
anche agli italiani. Oggi stimiamo in circa 3.800 miliardi di euro la ricchezza
finanziaria delle famiglie italiane. Insomma, ancora qualcuno ha disponibilità
di denari. Ma non investe perché ha paura, perché è bloccato, perché non ha
certezze.
Noi vogliamo dire che
l’Italia può ripartire se abbandoniamo la rendita e scommettiamo sul lavoro. In
questa settimana accoglieremo gli stimoli e le riflessioni di addetti ai lavori
e cittadini (matteo@matteorenzi.it). Poi redigeremo il vero e
proprio Jobs Act.
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