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mercoledì 26 marzo 2014

Termine di decadenza per l’impugnazione del licenziamento illegittimo (interpello 12/2014)


La Direzione Generale per l'Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con interpello n. 12 del 25 marzo 2014, ha risposto ad un quesito dell'Assotrasporti (Associazione Nazionale Sindacati dei Trasporti e dei Servizi), in merito all’interpretazione dell’art. 32, comma 4 lett. d), della Legge n. 183/2010.
In particolare si chiedono chiarimenti in ordine alla “estensione” del termine decadenziale di 60 giorni per l’impugnabilità del licenziamento e del termine di 180 giorni (termine così ridotto dal successivo art. 1, comma 38,Legge n. 92/2012) per il deposito del ricorso, ad “ogni altro caso in cui, compresa l’ipotesi prevista dall’art. 27 del D.L.vo n. 276/2003, si chieda la costituzione o l’accertamento di un rapporto di lavoro in capo ad un soggetto diverso dal titolare del contratto”.

 La risposta in sintesi:
"...Si premette che per tutte le ipotesi il lavoratore, nel chiedere la costituzione o l’accertamento del rapporto di lavoro nei confronti dell’utilizzatore, deve provare in via giudiziale la sussistenza degli elementi di irregolarità della somministrazione e di non genuinità e illegittimità dei contratti di appalto e distacco e contestualmente l’illegittimità del licenziamento.
Con riferimento al dies a quo per la decorrenza dell’enunciato termine di 60 giorni per la relativa impugnazione, occorre distinguere l’ipotesi in cui il licenziamento sia stato comunicato o meno per iscritto.
Nel caso di licenziamento scritto con contestuale comunicazione scritta dei motivi (cfr. art. 1, comma 37, Legge n. 92/2012), il termine decorre dalla data di ricezione, da parte del lavoratore, della comunicazione medesima.
Di contro, in caso di licenziamento verbale o di fatto o senza comunicazione dei motivi, il licenziamento è inefficace (art. 2, comma 3, LLegge n. 604/1966), nel qual caso non si ritiene applicabile il termine di decadenza di 60 giorni che postula l’esistenza di un licenziamento scritto (sulle conseguenze, in relazione al requisito dimensionale, v. art. 18, commi 1 e 6, Legge n. 300/1970).
In tal caso, essendo il licenziamento tamquam non esset, il lavoratore può agire per far dichiarare tale inefficacia, contestualmente all’azione per la costituzione o l’accertamento del rapporto di lavoro con il fruitore materiale delle prestazioni, senza l’onere della previa impugnativa stragiudiziale del licenziamento stesso, entro il termine prescrizionale di 5 anni.

In via generale, in caso di licenziamento illegittimo, la giurisprudenza afferma infatti che il termine di 60 giorni, previsto a pena di decadenza dall’art. 6 della Legge n. 604/1966 si applica all’impugnazione di ogni licenziamento comunicato per iscritto per ragioni riconducibili nell’ambito della disciplina dettata dalla Legge n. 604/1966, fatta eccezione per il licenziamento non comunicato per iscritto, o di cui non siano stati comunicati, parimenti per iscritto, i motivi, sebbene richiesti, come stabilito dall’art. 2 della citata Legge del 1966, nel qual caso, essendo il licenziamento inefficace (tamquam non esset), e quindi non inficiando sulla continuità del rapporto da un punto di vista giuridico, si applicherebbe il solo termine prescrizionale per la conseguente declaratoria di inefficacia” (cfr. Cass. sent. n. 5611/1997; Cass. sent. n. 5519/1999, Cass. SS.UU. sent. n. 508/99).".

Professione Consulente del Lavoro e abusivismo (CED, STP)

Segnalo la presenza sul sito dei Consulenti del Lavoro di una circolare che evidenzia alcune FAQ, su CED, STP e regolare esercizio della professione di Consulente del Lavoro.


lunedì 24 marzo 2014

Dichiarazione sostitutiva del dipendente prevale sul verbale ispettivo


Con sentenza n. 4899  pubblicata il 03/03/2014, la Sesta Sezione Civile della Corte di Cassazione interviene in merito alla valutazione della documentazione prodotta nell’ambito di un contenzioso a seguito di ispezione.

In particolare la Suprema Corte sentenzia che il verbale ispettivo dell’INPS può essere messo in discussione da una dichiarazione sostitutiva del dipendente, che attesti un orario diverso da quello riportato dagli ispettori dell’istituto.


Di conseguenza, l’onere della prova da parte dell’Istituto di previdenza rimane inadempiuto, in quanto, continua la Cassazione, la ritrattazione da parte del dipendente delle dichiarazioni rese durante l’accesso ispettivo, priva il verbale redatto dagli ispettori della sua valenza probatoria.

venerdì 21 marzo 2014

Governo: pubblicato il Decreto Legge con le disposizioni urgenti del Jobs Act

http://www.dplmodena.it/21-03-14GovJobsAct.html

Il Consiglio dei Ministri ha pubblicato, sulla Gazzetta Ufficiale n. 66 del 20 marzo 2014, il Decreto Legge 20 marzo 2014, n. 34 contenente le "Disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell'occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese".
Il Decreto entra in vigore il 21 marzo 2014.
Pubblichiamo, inoltre, i Decreti Legislativi n. 368/2001 (contratto a tempo determinato), n. 167/2011 (TU sull'apprendistato) e n. 276/2003 (c.d. Riforma Biagi), aggiornati con le modifiche apportate dal Decreto Legge n. 34/2014. Nei prossimi giorni forniremo gli approfondimenti per l'applicazione delle modifiche.

mercoledì 19 marzo 2014

Governo: interventi per il mercato del lavoro - il JOBS ACT


Governo: interventi per il mercato del lavoro - il JOBS ACT

Il Consiglio dei Ministri, nella riunione del 12 marzo 2014, su proposta del Presidente e del Ministro del Lavoro, ha approvato un decreto legge contenente disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell’occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese. 
Un provvedimento urgente che contiene, tra le altre cose, interventi di semplificazione sul contratto a termine e sul contratto di apprendistato per renderli più coerenti con le esigenze attuali del contesto occupazionale e produttivo.
Nello specifico il decreto legge prevederà queste modifiche:

 

Il contratto di lavoro a termine

Per il contratto a termine viene prevista l’elevazione da 12 a 36 mesi della durata del rapporto di lavoro a tempo determinato per il quale non è richiesto il requisito della causalità.
Viene prevista la possibilità di prorogare fino ad un massimo di 8 volte il contratto a tempo determinato entro il limite dei tre anni. Condizione delle proroghe è che si riferiscano alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato inizialmente stipulato.
Viene, infine, fissato il limite massimo, per i contratti a tempo determinato, del 20% dell'organico complessivo del datore di lavoro. Il decreto fa, comunque, salvo quanto disposto dall'art. 10, comma 7, del D.lgs. 368/2001, che da un lato lascia alla contrattazione collettiva la possibilità di modificare tale limite quantitativo e, dall'altro, tiene conto delle esigenze connesse alle sostituzioni e alla stagionalità. Infine, per tenere conto delle realtà imprenditoriali più piccole, è previsto che le imprese che occupano fino a 5 dipendenti possono comunque stipulare un contratto a termine.

Il contratto di apprendistato
Per il contratto di apprendistato si prevede il ricorso alla forma scritta per il solo contratto e patto di prova (e non, come attualmente previsto, anche per il relativo piano formativo individuale) e l’eliminazione delle attuali previsioni secondo cui l’assunzione di nuovi apprendisti è necessariamente condizionata alla conferma in servizio di precedenti apprendisti al termine del percorso formativo. È inoltre previsto che la retribuzione dell’apprendista, per la parte riferita alle ore di formazione, sia pari al 35% della retribuzione del livello contrattuale di inquadramento. Per il datore di lavoro viene eliminato l’obbligo di integrare la formazione di tipo professionalizzante e di mestiere con l’offerta formativa pubblica, che diventa un elemento discrezionale.

 

La smaterializzazione del DURC

Un ulteriore intervento di semplificazione riguarda la smaterializzazione del DURC, superando l’attuale sistema che impone ripetuti adempimenti burocratici alle imprese. Per dare un’idea della rilevanza del provvedimento, si ricorda che nel 2013 i DURC presentati sono stati circa 5 milioni.
Inoltre, è previsto un disegno di legge delega al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, di semplificazione delle procedure e degli adempimenti in materia di lavoro, di riordino delle forme contrattuali e di miglioramento della conciliazione tra tempi di lavoro e tempi di vita. Queste le caratteristiche:

 

Delega in materia di ammortizzatori sociali

La delega ha lo scopo di assicurare un sistema di garanzia universale per tutti i lavoratori che preveda, in caso di disoccupazione involontaria, tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori, di razionalizzare la normativa in materia di integrazione salariale. Un sistema così delineato può consentire il coinvolgimento attivo di quanti sono espulsi dal mercato del lavoro o siano beneficiari di ammortizzatori sociali, semplificando le procedure amministrative e riducendo gli oneri non salariali del lavoro.
A tal fine vengono individuati i seguenti principi e criteri direttivi:
- rivedere i criteri di concessione ed utilizzo delle integrazioni salariali escludendo i casi di cessazione aziendale;
- semplificare le procedure burocratiche anche con la introduzione di meccanismi automatici di concessione;
- prevedere che l’accesso alla cassa integrazione possa avvenire solo a seguito di esaurimento di altre possibilità di riduzione dell’orario di lavoro;
- rivedere i limiti di durata, da legare ai singoli lavoratori;
- prevedere una maggiore compartecipazione ai costi da parte delle imprese utilizzatrici;
- prevedere una riduzione degli oneri contributivi ordinari e la loro rimodulazione tra i diversi settori in funzione dell’effettivo utilizzo;
- rimodulare l’ASpI omogeneizzando tra loro la disciplina ordinaria e quella breve;
- incrementare la durata massima dell’ASpI per i lavoratori con carriere contributive più significative;
- estendere l’applicazione dell’ASpI ai lavoratori con contratti di co.co.co., prevedendo in fase iniziale un periodo biennale di sperimentazione a risorse definite;
- introdurre massimali in relazione alla contribuzione figurativa;
- valutare la possibilità che, dopo l’ASpI, possa essere riconosciuta un’ulteriore prestazione in favore di soggetti con indicatore ISEE particolarmente ridotto;
- eliminare lo stato di disoccupazione come requisito per l’accesso a prestazioni di carattere assistenziale.

 

Delega in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive

La delega è finalizzata a garantire la fruizione dei servizi essenziali in materia di politica attiva del lavoro su tutto il territorio nazionale, nonché ad assicurare l’esercizio unitario delle relative funzioni amministrative.
A tal fine vengono individuati i seguenti principi e criteri direttivi:
- razionalizzare gli incentivi all’assunzione già esistenti, da collegare alle caratteristiche osservabili per le quali l’analisi statistica evidenzi una minore probabilità di trovare occupazione;
- razionalizzare gli incentivi per l’autoimpiego e l’autoimprenditorialità;
- istituire, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, un’Agenzia nazionale per l’impiego per la gestione integrata delle politiche attive e passive del lavoro, partecipata da Stato, Regioni e Province autonome e vigilata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali. All’agenzia sarebbero attribuiti compiti gestionali in materia di servizi per l’impiego, politiche attive e ASpI e vedrebbe il coinvolgimento delle parti sociali nella definizione delle linee di indirizzo generali. Si prevedono meccanismi di raccordo tra l’Agenzia e l’Inps, sia a livello centrale che a livello territoriale, così come meccanismi di raccordo tra l’Agenzia e gli enti che, a livello centrale e territoriale, esercitano competenze in materia di incentivi all’autoimpiego e all’autoimprenditorialità;
- razionalizzare gli enti e le strutture, anche all’interno del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che operano in materia di ammortizzatori sociali, politiche attive e servizi per l’impiego allo scopo di evitare sovrapposizioni e garantire l’invarianza di spesa;
- rafforzare e valorizzare l’integrazione pubblico/privato per migliorare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro;
- mantenere il capo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali il ruolo per la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni che debbono essere garantite su tutto il territorio nazionale;
- mantenere in capo alle Regioni e Province autonome le competenze in materia di programmazione delle politiche attive del lavoro;
- favorire il coinvolgimento attivo del soggetto che cerca lavoro;
- valorizzare il sistema informativo per la gestione del mercato del lavoro e il monitoraggio delle prestazioni erogate.

 

Delega in materia di semplificazione delle procedure e degli adempimenti

La delega punta a conseguire obiettivi di semplificazione e razionalizzazione delle procedure di costituzione e gestione dei rapporti di lavoro, al fine di ridurre gli adempimenti a carico di cittadini e imprese.
A tal fine vengono individuati i seguenti principi e criteri direttivi:
- razionalizzare e semplificare le procedure e gli adempimenti connessi con la costituzione e la gestione del rapporto di lavoro, con l’obiettivo di dimezzare il numero di atti di gestione del rapporto di carattere burocratico ed amministrativo;
- eliminare e semplificare, anche mediante norme di carattere interpretativo, le disposizioni interessate da rilevanti contrasti interpretativi, giurisprudenziali e amministrativi;
- unificare le comunicazioni alle pubbliche amministrazioni per i medesimi eventi (es. infortuni sul lavoro) ponendo a carico delle stesse amministrazioni l’obbligo di trasmetterle alle altre amministrazioni competenti;
- promuovere le comunicazioni in via telematica e l’abolizione della tenuta di documenti cartacei;
- rivedere il regime delle sanzioni, valorizzando gli istituti di tipo premiale, che tengano conto della natura sostanziale o formale della violazione e favoriscano l’immediata eliminazione degli effetti della condotta illecita (a parità di costo);
- individuare modalità organizzative e gestionali che consentano di svolgere, anche in via telematica, tutti gli adempimenti di carattere burocratico e amministrativo connesso con la costituzione, la gestione e la cessazione del rapporto di lavoro;
- revisione degli adempimenti in materia di libretto formativo del cittadino

 

Delega in materia di riordino delle forme contrattuali

La delega è finalizzata a rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione, nonché a riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto produttivo nazionale e internazionale.
A tal fine vengono individuati i seguenti principi e criteri direttivi:
- individuare e analizzare tutte le forme contrattuali esistenti ai fini di poterne valutare l’effettiva coerenza con il contesto occupazionale e produttivo nazionale e internazionale, anche in funzione di eventuali interventi di riordino delle medesime tipologie contrattuali;
- procedere alla redazione di un testo organico di disciplina delle tipologie contrattuali dei rapporti di lavoro, riordinate secondo quanto indicato alla lettera a), che possa anche prevedere l’introduzione, eventualmente in via sperimentale, di ulteriori tipologie contrattuali espressamente volte a favorire l’inserimento nel mondo del lavoro, con tutele crescenti per i lavoratori coinvolti;
- introdurre, eventualmente anche in via sperimentale, il compenso orario minimo, applicabile a tutti i rapporti di lavoro subordinato, previa consultazione delle parti sociali;
- procedere all’abrogazione di tutte le disposizioni che disciplinano le singole forme contrattuali, incompatibili con il testo organico di cui alla lettera b), al fine di assicurare certezza agli operatori, eliminando duplicazioni normative e difficoltà interpretative ed applicative.

 

Delega in materia di conciliazione dei tempi di lavoro con le esigenze genitoriali

La delega ha la finalità di contemperare i tempi di vita con i tempi di lavoro dei genitori. In particolare, l’obiettivo che si vuole raggiungere è quello di evitare che le donne debbano essere costrette a scegliere fra avere dei figli oppure lavorare.
A tal fine vengono individuati i seguenti principi e criteri direttivi:
- introdurre a carattere universale l’indennità di maternità, quindi anche per le lavoratrici che versano contributi alla gestione separata;
- garantire, alle lavoratrici madri parasubordinate, il diritto alla prestazione assistenziale anche in caso di mancato versamento dei contributi da parte del datore di lavoro;
- abolire la detrazione per il coniuge a carico ed introdurre il tax credit, quale incentivo al lavoro femminile, per le donne lavoratrici, anche autonome, con figli minori e che si trovino al di sotto di una determinata soglia di reddito familiare;
- incentivare accordi collettivi volti a favorire la flessibilità dell’orario lavorativo e l’impiego di premi di produttività, per favorire la conciliazione dell’attività lavorativa con l’esercizio delle responsabilità genitoriali e dell’assistenza alle persone non autosufficienti;
- favorire l’integrazione dell’offerta di servizi per la prima infanzia forniti dalle aziende nel sistema pubblico – privato dei servizi alla persona, anche mediante la promozione del loro utilizzo ottimale da parte dei lavoratori e dei cittadini residenti nel territorio in cui sono attivi.


Corte di Giustizia Europea: C-458/12 - cessione di ramo d’azienda



Corte di Giustizia Europea: C-458/12 - cessione di ramo d’azienda

Con la sentenza del 6 marzo 2014 - C-458/12 - la Corte Europea di Giustizia ha affrontato il tema della conformità alla Direttiva comunitaria della disposizione, contenuta nell’art. 2112 c.c., della cessione di ramo d’azienda inteso come funzionalmente autonomo di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento. La questione era stata proposta del Tribunale di Trento.
La risposta della Corte Europea è stata nel senso che nulla vieta, secondo l’ordinamento comunitario, a che gli Stati membri (nel caso di specie quello italiano) possano ritenere applicabile il regime del trasferimento di bramo di azienda a parti dell’attività produttiva che diventano autonome, sotto l’aspetto funzionale, al momento del passaggio.
Il giudice remittente aveva sollevato la questione del controllo del cedente sul cessionario che si manifesta sotto l’aspetto della committenza  e sotto quello di una sorta di commistione dello stesso rischio d’impresa. In questo caso, la Corte ha affermato la mancanza di ostacoli nell’applicazione della Direttiva 2001/23, arrivando alla conclusione che la cessione dei rapporti di lavoro non è contraria alle norma comunitaria.
Per completezza di informazione si ritiene opportuno ricordare, per sommi capi, i principi relativi al trasferimento di azienda o parte di essa:

a)      sotto l’aspetto operativo il trasferimento di azienda si concretizza in una modificazione soggettiva nei rapporti di lavoro (c.d. “successione a titolo particolare”;
b)      la nozione di trasferimento, secondo la Direttiva 2001/23, riguarda una entità economica, intesa come insieme di mezzi organizzati, finalizzati allo svolgimento di un’attività essenziale od accessoria. Il riferimento all’attività sembra estendere l’ambito di applicazione della nozione di trasferimento. Il vecchio concetto della preesistenza appare superato dalla decisione della Corte Europea che ha confermato la legittimità della identificazione operata dalle parti all’atto del trasferimento ed introdotta nell’art. 2112 c.c., dal D.L.vo n. 276/2003;
c)      il titolo del trasferimento è, indubbiamente, una cessione contrattuale che può realizzarsi sia con la vendita che con altre tipologie negoziali come, ad esempio, l’affitto,  l’usufrutto o la fusione;
d)     il trasferimento di ramo di azienda presuppone una articolazione funzionalmente autonoma ed organizzata (art. 2112 c.c., comma 5), secondo un concetto che appare ben più ampio. L’articolazione, una volta esternalizzata, ad esempio, può essere suscettibile di autonoma attività produttiva perché dotata di propri mezzi e non necessariamente, quindi,  solo servizio accessorio del cedente (è il caso, di un servizio mensa, prima gestito all’interno). Il momento che conta è quello della identificazione della cessione fatta dalle parti all’atto del trasferimento, cosa che, indubbiamente, consente un maggior ambito di manovra;
e)      la procedura di informazione e consultazione delle OOSS è prevista dai commi 1 e 2 dell’art. 47 della legge n. 428/1990. L’obbligo scaturisce dai limiti dimensionali dell’impresa (almeno 16 dipendenti): essi vanno calcolati sull’azienda nel suo complesso e non sul ramo. Per il computo vanno esclusi gli apprendisti, gli assunti provenienti dai lavori socialmente utili e quelli con contratto di inserimento (art. 20 della legge n. 223/1991). La comunicazione alle OOSS va effettuata almeno 25 giorni prima del trasferimento o del raggiungimento di un’intesa vincolante (i termini sono ridotti alla metà nel caso di imprese ammesse alla procedura di amministrazione straordinaria – legge n. 39/2004, modificata dalla legge n. 166/2008). L’informazione deve riguardare la data del trasferimento, i motivi dello stesso, le conseguenze giuridiche, economiche e sociali riferite ai lavoratori e le eventuali misure previste per costoro. L’obbligo di informazione e consultazione c’è anche allorquando l’azienda o un ramo di essa viene acquisita da una società controllante. I destinatari della comunicazione sono le RSU o le RSA e le OOSS di categoria identificate sulla base del CCNL applicato. La violazione dell’obbligo di comunicazione costituisce condotta antisindacale censurabile ex art. 28 della legge n. 300/1970. Secondo un indirizzo della Suprema Corte (Cass., n. 23/2000), l’applicazione dell’art. 28 non incide sulla efficacia del negozio traslativo, non potendosi configurare il rispetto della procedura quale presupposto di legittimità del trasferimento. Tale tesi non ha trovato molti sostenitori in dottrina ma anche nelle sentenze di merito, laddove si è osservato che la mancata attivazione della procedura di consultazione legittima gli interessati a far valere l’inefficacia della cessione. Se le organizzazioni sindacali lo richiedono il cedente ed il cessionario debbono avviare un esame congiunto nei successivi 7 giorni dalla richiesta: la procedura si conclude in 10 giorni anche se non si raggiunge un accordo;
f)       la continuazione del rapporto di lavoro viene assicurata esplicitamente dalla norma che, al comma 4 dell’art. 47 afferma che il trasferimento non costituisce di per sé motivo di licenziamento. Tralasciando una serie di questioni relative alla possibilità che l’alienante proceda alla risoluzione dei rapporti per cause diverse da quella della cessione, va ricordato come il dipendente passato possa dimettersi per giusta causa allorquando, nei tre mesi successivi al passaggio, si sia registrata una sostanziale modificazione “in peius” delle proprie condizioni di lavoro;
g)      la continuazione del rapporto con il cessionario postula la conservazione di tutti i diritti derivanti dai contratti collettivi, anche aziendali, fino alla scadenza: la previsione della disposizione secondo la quale sotto l’aspetto contrattuale un CCNL può essere sostituito con un altro CCNL ha lo scopo di preservare i lavoratori rispetto ad un eventuale contratto aziendale peggiorativo;
h)      la responsabilità solidale dell’acquirente  si estende a tutti i crediti vantati e maturati dai lavoratori all’atto del trasferimento. La responsabilità è per i crediti contrattuali ma si estende anche alla contribuzione obbligatoria. L’alienante può essere liberato dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro attraverso una conciliazione avvenuta secondo le procedure degli articoli 410 cpc (commissione provinciale di conciliazione presso la DTL) e 411 cpc (sede sindacale);
i)        il trasferimento di un’impresa in crisi viene trattato dall’art. 47 nel penultimo comma: si è, quindi, di fronte, ad esempio, ad una crisi aziendale, all’amministrazione straordinaria in caso di continuazione o mancata cessazione dell’attività, ad un concordato preventivo o ad una continuazione dell’attività con ristrutturazione del debito. Qualora l’attività sia cessata  e sia intervenuto un accordo sindacale, l’art. 2112 c.c. non trova applicazione, fatte salve condizioni di miglior favore.
j)        I lavoratori che non passano alle dipendenze hanno un diritto di precedenza di un anno, salvo termine maggiore stabilito negli accordi collettivi. Le eventuali modifiche peggiorative non sono rimesse alla decisione dell’imprenditore ma debbono essere frutto dell’accordo sindacale o di una pattuizione individuale (Cass., n. 4724/1999). Va ricordato come il rispetto del diritto di precedenza ex art. 47 abbia, di recente, assunto una specifica valenza nei confronti del datore di lavoro che volesse effettuare un’assunzione incentivata, non rispettandolo. L’art. 4, commi 10, 11 e 12 della legge n. 92/2012 afferma che il datore di lavoro non ha diritto al beneficio connesso con quella assunzione effettuata, in spregio al diritto di precedenza.


martedì 11 marzo 2014

Permessi Legge 104/1992 e fruizione ferie.

Link: http://www.consulentidellavoro.it/index.php/component/k2/item/837-licenziamento-per-chi-fa-vacanza-coi-permessi-della-legge-104

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 4984 del 4.3.2014, ha confermato la legittimità di un licenziamento dietro verifica di un’Agenzia investigativa su un lavoratore, da cui era emersa la fruizione dei permessi mensili, ex legge n. 104/1992, non per accudire il familiare ma per fruire di un weekend lungo con amici.

Maxisanzione (circolare ministero - informativa CDL)

Link:

http://www.consulentidellavoro.it/index.php/component/k2/item/813-sanzioni-sul-lavoro-nero-e-sull-orario-ministero-interviene-sulle-novita 

http://www.lavoro.gov.it/Strumenti/normativa/Documents/2014/20140304_Circ_5.pdf


 

Il Ministero del Lavoro con la circolare n. 5 del 4 marzo 14 fornisce indicazioni operative sulle sanzioni per il lavoro nero e violazioni dell’orario di lavoro, nonché tabelle per il calcolo (conversione in Legge n. 9/14, con modificazioni, del D.L. n. 145/13).

Maxisanzione lavoro nero
Posto che la consumazione dell'illecito coincide con la cessazione della condotta:
• violazioni commesse prima del 24.12.2013 applicabile pregressa disciplina (importi e diffida ex art. 13 del D.Lgs. n. 124/04);
• violazioni commesse dal 24.12.2013 e fino al 21.2.2014 compreso: applicazione  sanzioni amministrative già previste dall'art. 3 del D.L. n. 12/02 aumentate del 30%, sia per la parte fissa, sia per la parte variabile e la procedura di diffida ex art. 13 del D.Lgs. n. 124/04;
• violazioni commesse del 22.2.2014: applicazione sanzioni amministrative già previste dall'art 3 del D.L. n. 12/2002 aumentate del 30%, sia per la parte fissa, sia per la parte variabile, ma non anche la procedura di diffida (art. 13 del D.Lgs. n. 124/04).
Il momento di consumazione dell’illecito coincide con la cessazione della condotta.

Sospensione attività imprenditoriale
I nuovi importi per la revoca: € 1.950 in ipotesi di sospensione per lavoro irregolare e ad € 3.250 in ipotesi di sospensione per gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.
Si tratta di importi da applicare in relazione alle richieste di revoca del provvedimento effettuate dal 24.12.2013, anche se riferite a condotte poste in essere prima di tale data.

Sanzioni per violazioni orario di lavoro
Le violazioni commesse sino al 23.12.2013 saranno soggette al pregresso regime sanzionatorio, mentre quelle commesse dopo il 23.12.2013 saranno soggette ad importi sanzionatori raddoppiati.
Ai fini della applicabilità delle nuove sanzioni raddoppiate e quindi della individuazione del momento di consumazione dei relativi illeciti, i periodi di riferimento (4 mesi per la durata media dell’orario di lavoro, 14 giorni per il riposo settimanale e 24 ore per il riposo giornaliero) devono ricadere interamente dopo il 24.12.2013. Questo perché costituiscono un elemento "strutturale" della fattispecie, indispensabile ai fini della verifica circa la realizzazione di una eventuale condotta illecita.

mercoledì 5 marzo 2014

Rimborsi da 730 si complicano.

http://www.arezzoweb.it/notizie/speciale.asp?idnotizia=144215

I rimborsi derivanti dai modelli 730 diventano più complicati: è l'effetto della legge di stabilità 2014 sui lavoratori che si avvalgono di questa modalità per effettuare la propria dichiarazione dei redditi.
Infatti è stato introdotto un sistema di controlli preventivi dei modelli 730, nelle ipotesi in cui le dichiarazioni presentino un rilevante saldo a credito per il contribuente, con lo scopo di evitare indebiti rimborsi Irpef sia da parte del sostituto d'imposta, sia da parte dell'agenzia delle Entrate.
In sintesi - a partire dalle dichiarazioni presentate nel 2014 - l'amministrazione finanziaria, entro sei mesi dalla scadenza dei termini previsti per la trasmissione del 730, ovvero, se successiva, dalla sua data di trasmissione, effettua controlli preventivi sull'effettiva spettanza delle detrazioni per carichi di famiglia, nell'ipotesi in cui scaturisca un rimborso complessivamente superiore a euro 4.000, anche se determinato da precedenti dichiarazioni.
Se al termine della verifica preventiva il credito risulta dovuto, sarà cura delle Entrate erogare il rimborso al contribuente che ne ha diritto.
La disposizione descritta non riguarda soltanto i lavoratori interessati dal 730, ma anche i datori di lavoro nella loro veste di sostituti d'imposta: peraltro, su queste novità normative e sui risvolti operativi entrano in gioco anche i Consulenti del lavoro, chiamati a gestire questi adempimenti e a fornire alle aziende la consulenza in merito.
I lavoratori e i sostituti d'imposta devono quindi prestare particolare attenzione nel richiedere e nell'attribuire le detrazioni per carichi di famiglia: si ricorda che l'obbligo di presentare al datore di lavoro una nuova dichiarazione sussiste solo in caso di variazione dei dati precedentemente comunicati, ma deve essere tempestiva.
Il contribuente, per evitare di dover restituire all'erario importi non spettanti, deve tener conto - ad esempio - che la detrazione per il coniuge spetta a condizione che questi non sia legalmente ed effettivamente separato e che sia "a carico"; stesso discorso riguarda i figli a carico. Inoltre, la detrazione può essere ripartita nella misura del 50% fra i genitori oppure, previo accordo tra gli stessi, spetta al genitore che possiede il reddito complessivo con ammontare più elevato, non essendo più ammessa una diversa divisione.

lunedì 3 marzo 2014

INPS: deficit di bilancio

Link: http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/02/27/inps-corte-dei-conti-legge-di-stabilita-non-risanera-il-bilancio-in-rosso/896923/

Inps, Corte dei Conti: “Legge di stabilità non risanerà il bilancio in rosso”

I supremi giudici contabili, in un'audizione davanti alla commissione parlamentare, hanno parlato di un "alleggerimento del quadro", e prevedendo un buco di 4,5 miliardi


Per la Corte dei Conti i trasferimenti della legge di stabilità non basteranno per risanare il bilancio in rosso dell’InpsLa legge non sarà sufficiente per riportare il patrimonio 2014 in attivo (circa 25 miliardi). Le risorse previste, sostengono i supremi giudici contabili, “non appaiono in grado di incidere” sul deficit strutturale che l’Istituto ha sia nelle gestioni del lavoro pubblico sia in quelle del lavoro privato. Lo hanno sostenuto oggi i rappresentanti della Corte dei Conti in una audizione presso la commissione parlamentare di controllo sugli enti previdenziali spiegando che l’intervento costituisce un “alleggerimento del quadro” ma non una soluzione complessiva.
La situazione patrimoniale dell’Inps era in significativo peggioramento dopo l’incorporazione dell’Inpdap con una previsione per quest’anno di un rosso di 4,5 miliardi (a causa di un disavanzo economico di 12 miliardi nel 2014 dopo uno di 14,4 miliardi nel 2013). Nel 2011, prima dell’incorporazione dell’Istituto previdenziale dei dipendenti pubblici, il patrimonio Inps era in attivo per 41,2 miliardi.
La legge di stabilità ha deciso di considerare definitive le anticipazioni di bilancio disposte a favore dell’Inpdap fino al 31 dicembre 2011, con un miglioramento di oltre 25 miliardi di euro della situazione patrimoniale che sarà rilevato in occasione della prima nota di variazione al bilancio preventivo 2014 dell’Inps (riportando il patrimonio in attivo per circa 21 miliardi).
Con la legge di stabilità – ha spiegato la Corte dei Conti – “c’è stato un alleggerimento del quadro” ma non un “ripiano” che consenta di avere un pareggio tra contributi e prestazioni. “Si è aggiustata la situazione patrimoniale alleggerendo il passivo – hanno precisato i magistrati contabili parlando all’audizione alla commissione parlamentare di controllo sugli enti previdenziali – con una operazione di stock”. Nel frattempo la sostenibilità finanziaria del sistema “si fonda sui trasferimenti statali che superano i 100 miliardi l’anno”, trasferimenti che vanno “verificati nella qualità più che nella quantità”. Tutto ciò in attesa che vada a regime completamente il sistema contributivo nel 2050.
La Corte nei mesi scorsi aveva avvertito che erano “indilazionabili misure di risanamento” sui conti Inps ha poi invitato l’Istituto a rafforzare i controlli sulle prestazioni assistenziali aumentate nel 2012 del 2% (mentre si sono ridotte dell’1% quelle previdenziali). Bisogna “contrastare – hanno detto i magistrati contabili – il fenomeno non infrequente” di percepire assegni assistenziali, peraltro pagati attraverso la fiscalità generale e non dai contributi del lavoratore, da parte di “persone non averti titolo” al trattamento.


Dati statistici: Disoccupazione


Italia

La disoccupazione in Italia nel 2013 ha raggiunto il 12,2% e continuerà ad aumentare fino al 2015 toccando il 12,7 per cento. La stima nel Rapporto Ilo sull'occupazione sottolinea che rispetto al 2007 (6,1%) nel nostro Paese la percentuale dei senza lavoro nel 2013 è raddoppiata. Nel mondo tra il 2007 e il 2013 si è passati dal 5,5% al 6% mentre in Europa e nelle economie sviluppate si è passati dal 5,8% del 2007 all'8,6% del 2013. «Nel corso del 2013, sono stati registrati segnali di ripresa economica nell’Unione europea e nelle economie avanzate.Tuttavia, i miglioramenti di produttività e competitività non sono ancora abbastanza forti per invertire la tendenza dell’esteso e crescente divario occupazionale: le condizioni del mercato del lavoro non hanno visto segnali di miglioramento nel corso del 2013. Pertanto la regione è caratterizzata da una ripresa delle attività, ma non dell’occupazione», si legge nel Rapporto.

Jobs Act: la proposta sul lavoro di Matteo Renzi



LE ANALISI

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IL TESTO DELLA BOZZA
Partiamo da due premesse.

Una di metodo. Gli spunti che trovate in questa enews saranno inviati domani ai parlamentari, ai circoli, agli addetti ai lavori per chiedere osservazioni, critiche, integrazioni. Dunque non è un documento chiuso, ma aperto al lavoro di chiunque. Anche vostro.

Una di merito. Non sono i provvedimenti di legge che creano lavoro, ma gli imprenditori. La voglia di buttarsi, di investire, di innovare. L’Italia può farcela, ma deve uscire da questa situazione di bella addormentata nel bosco. Deve rompere l’incantesimo. Per farlo c’è bisogno di una visione per i prossimi anni e di piccoli interventi per i prossimi mesi.

Punto di partenza: l’Italia ha tutto per farcela. È un Paese che ha una forza straordinaria ma è stato gestito in questi anni da una classe dirigente mediocre che ha fatto leva sulla paura per non affrontare la realtà (straordinaria la pennellata di De Rita nella relazione Censis di quest’anno). Un cambiamento radicale è possibile partendo dall’assunto che il sistema Paese ha le risorse per essere leader in Europa e punto di attrazione nel mondo. E che la globalizzazione non è il nostro problema, ma la più grande opportunità per l’Italia. Un mondo piatto, sempre più numeroso e sempre più ricco, che ha fame di bello, quindi di Italia. A noi il compito di non sprecare questa possibilità; abbiamo già sprecato la crisi, adesso non possiamo sciupare anche la ripresa.
Ma l’Italia vive un paradosso. Per responsabilità (diffusa) della classe dirigente, abbiamo perso molto tempo. E i dati dell’Istat di oggi – che proiettano una disoccupazione giovanile ai record dal 1977 –  sono una fotografia devastante. Bisogna correre, allora. Fermare l’emorragia dei posti di lavoro. E poi iniziare a risalire la china.

Il PD crede possibile che il JobsAct sia uno strumento per aiutare il Paese a ripartire.
Ma sappiamo benissimo che la credibilità della classe politica parte dalla capacità di dare il buon esempio. Ecco perché è fondamentale che si faccia rapidamente la legge elettorale, si taglino per un miliardo i costi della politica, si eliminino le rappresentanze politiche di Province e Senato, si riduca il numero e il compenso dei consiglieri regionali. Se dobbiamo cambiare – e noi dobbiamo cambiare – bisogna partire dalla politica.
Qui c’è un sommario, con le prime azioni concrete, formulato insieme ai ragazzi della segreteria a partire da Marianna, che si occupa di lavoro, e di Filippo, che è responsabile economia. Nella prossima settimana lo arricchiremo con le osservazioni ricevute e lo discuteremo nella direzione del PD del 16 gennaio. Nessuno si senta escluso: è un documento aperto, politico, che diventerà entro un mese un vero e proprio documento tecnico.
L’obiettivo è creare posti di lavoro, rendendo semplice il sistema, incentivando voglia di investire dei nostri imprenditori, attraendo capitali stranieri (tra il 2008 e il 2012 l’Italia ha attratto 12 miliardi di euro all’anno di investimenti stranieri. Metà della Germania, 25 miliardi un terzo della Francia e della Spagna, 37 miliardi). Per la Banca Mondiale siamo al 73° posto aal mondo per facilità di fare impresa (dopo la Romania, prima delle Seychelles). Per il World Economic Forum siamo al 42° posto per competitività (dopo la Polonia, prima della Turchia). Vi sembra possibile? No, ovviamente no. E allora basta ideologia e mettiamoci sotto


Parte A – Il Sistema
1.  Energia. Il dislivello tra aziende italiane e europee è insostenibile e pesa sulla produttività. Il primo segnale è ridurre del 10% il costo per le aziende, soprattutto per le piccole imprese che sono quelle che soffrono di più (Interventi dell’Autorità di Garanzia, riduzione degli incentivi cosiddetti interrompibili).
2.  Tasse. Chi produce lavoro paga di meno, chi si muove in ambito finanziario paga di più, consentendo una riduzione del 10% dell’IRAP per le aziende. Segnale di equità oltre che concreto aiuto a chi investe.
3.  Revisione della spesa. Vincolo di ogni risparmio di spesa corrente che arriverà dalla revisione della spesa alla corrispettiva riduzione fiscale sul reddito da lavoro.
4.  Azioni dell’agenda digitale. Fatturazione elettronica, pagamenti elettronici, investimenti sulla rete.
5.  Eliminazione dell’obbligo di iscrizione alle Camere di Commercio. Piccolo risparmio per le aziende, ma segnale contro ogni corporazioni. Funzioni delle Camere assegnate a Enti territoriali pubblici. 
6.  Eliminazione della figura del dirigente a tempo indeterminato nel settore pubblico. Un dipendente pubblico è a tempo indeterminato se vince concorso. Un dirigente no. Stop allo strapotere delle burocrazie ministeriali.
7.  Burocrazia. Intervento di semplificazione amministrativa sulla procedura di spesa pubblica sia per i residui ancora aperti (al Ministero dell’Ambiente circa 1 miliardo di euro sarebbe a disposizione immediatamente) sia per le strutture demaniali sul modello che vale oggi per gli interventi militari. I Sindaci decidono destinazioni, parere in 60 giorni di tutti i soggetti interessati, e poi nessuno può interrompere il processo. Obbligo di certezza della tempistica nel procedimento amministrativo, sia in sede di Conferenza dei servizi che di valutazione di impatto ambientale. Eliminazione della sospensiva nel giudizio amministrativo.
8.  Adozione dell’obbligo di trasparenza: amministrazioni pubbliche, partiti, sindacati hanno il dovere di pubblicare online ogni entrata e ogni uscita, in modo chiaro, preciso e circostanziato.


Parte B – I nuovi posti di lavoro
Per ognuno di questi sette settori, il JobsAct conterrà un singolo piano industriale con indicazione delle singole azioni operative e concrete necessarie a creare posti di lavoro.
a) Cultura, turismo, agricoltura e cibo.
b) Made in Italy (dalla moda al design, passando per l’artigianato e per i makers)
c) ICT
d) Green Economy
e) Nuovo Welfare
f) Edilizia
g) Manifattura


Parte C – Le regole
1.                              Semplificazione delle norme. Presentazione entro otto mesi di un codice del lavoro che racchiuda e semplifichi tutte le regole attualmente esistenti e sia ben comprensibile anche all’estero.
2.                              Riduzione delle varie forme contrattuali, oltre 40, che hanno prodotto uno spezzatino insostenibile. Processo verso un contratto di inserimento a tempo indeterminato a tutele crescenti.
III. Assegno universale per chi perde il posto di lavoro, anche per chi oggi non ne avrebbe diritto, con l’obbligo di seguire un corso di formazione professionale e di non rifiutare più di una nuova proposta di lavoro.
IV. Obbligo di rendicontazione online ex post per ogni voce dei denari utilizzati per la formazione professionale finanziata da denaro pubblico. Ma presupposto dell’erogazione deve essere l’effettiva domanda delle imprese. Criteri di valutazione meritocratici delle agenzie di formazione con cancellazione dagli elenchi per chi non rispetta determinati standard di performance.
V.  Agenzia Unica Federale che coordini e indirizzi i centri per l’impiego, la formazione e l’erogazione degli ammortizzatori sociali.
VI. Legge sulla rappresentatività sindacale e presenza dei rappresentanti eletti direttamente dai lavoratori nei CDA delle grandi aziende. 
Su questi spunti, nei prossimi giorni, ci apriremo alla discussione. Con tutti. Ma con l’idea di fare. Certo ci saranno polemiche, resistenze. Ma pensiamo che un provvedimento del genere arricchito dalle singole azioni concrete e dalla certezza dei tempi della pubblica amministrazione possa dare una spinta agli investitori stranieri. E anche agli italiani. Oggi stimiamo in circa 3.800 miliardi di euro la ricchezza finanziaria delle famiglie italiane. Insomma, ancora qualcuno ha disponibilità di denari. Ma non investe perché ha paura, perché è bloccato, perché non ha certezze.

Noi vogliamo dire che l’Italia può ripartire se abbandoniamo la rendita e scommettiamo sul lavoro. In questa settimana accoglieremo gli stimoli e le riflessioni di addetti ai lavori e cittadini (matteo@matteorenzi.it). Poi redigeremo il vero e proprio Jobs Act.