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mercoledì 12 settembre 2018

Garante privacy: GPS in veicoli aziendali anche ad uso privato

Con un provvedimento del 28 giugno 2018 il Garante della privacy ha fornito una prima indicazione sui GPS installati in auto aziendali fornite ad uso privato ai dipendenti, alla luce del Regolamento UE 2016/79.
È stato stabilito che:
  1. i dati dei lavoratori interessati vanno trattati secondo il principio di minimizzazione e conservati per il periodo strettamente necessario, essendo eccessivo quello aziendale pari ad un anno;
  2. deve essere consentito al dipendente di disattivare il GPS sia durante le pause che al termine dell’orario di lavoro;
  3. le aziende che forniscono impianti di geolocalizzazione, senza particolari costi aggiuntivi, dovranno rendere disponibili le funzioni di disattivazione del GPS.

Fonte: Garante per la protezione dei dati personali

Somministrazione fraudolenta


La Legge n. 96/2018, di conversione del DL n. 87/2018, ha re-introdotto nell’ordinamento la fattispecie della somministrazione fraudolenta, casistica che ricorre qualora la somministrazione sia posta in essere con la finalità di eludere norme inderogabili di legge o del contatto collettivo applicato.

La disciplina della somministrazione fraudolenta introdotta dalla Legge n. 96/2018 ricalca esattamente quanto prevedeva l’articolo 28 del D.Lgs n. 276/2003, che era stato abrogato dal Jobs Act (D.Lgs n. 81/2015).

Nel particolare, il nuovo articolo 38-bis del D.Lgs n. 81/2015 stabilisce che:
“Fermo restando le sanzioni di cui all’art. 18 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, quando la somministrazione di lavoro è posta in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicate al lavoratore, il somministratore e l’utilizzatore sono puniti con la pena dell’ammenda di 20 euro per ciascun lavoratore coinvolto e per ciascun giorno di somministrazione.”

Il reato di somministrazione fraudolenta si affianca alle sanzioni già previste dall’articolo 18 del D.Lgs n. 276/2003 in materia di esercizio non autorizzato dell’attività di somministrazione, ricorso alla somministrazione da parte di soggetti non autorizzati, utilizzo oltre i limiti o sfruttamento dei minori.

La sanzione per somministrazione fraudolenta è pari a 20 euro per ogni giorno di lavoro e per ogni lavoratore coinvolto, e si applica sia all’utilizzatore che all’agenzia di somministrazione.
Va tenuto conto, peraltro, di quanto disposto dall’articolo 1 del D.Lgs n. 8/2016, in materia di depenalizzazione delle sanzioni amministrative: qualora alla violazione sia connessa una sola pena pecuniaria proporzionale, la somma dovuta è pari all'ammontare della multa o dell'ammenda, ma non può, in ogni caso, essere inferiore a euro 5.000 né superiore a euro 50.000.

Nel caso della sanzione per somministrazione fraudolenta, qualora il calcolo della stessa
sia inferiore a 5.000 euro, si applicherà la sanzione minima di 5.000 euro. Tale importo
risulta poi riducibile ai sensi dell’articolo 16 della Legge n. 689/1981.

Esempio 1
Ipotizziamo il caso in cui l’impiego fraudolento riguardi solamente 2 lavoratori per un totale di 10 giorni.
La sanzione è quindi pari a 20 euro * 2 lavoratori * 10 giorni = 400 euro.
Essendo inferiore al minimo di 5.000 euro previsto dall’art. 1, comma 6, D.Lgs n. 8/2016, si applica tale ultima sanzione. L’importo è poi soggetto alle riduzioni ex art. 16, Legge n. 689/1981, dando luogo ad una sanzione effettiva pari a 1.666,67 euro (1/3).

Esempio 2
Ipotizziamo il caso in cui l’impiego fraudolento riguardi 15 lavoratori per un totale di 18 giorni.
La sanzione è quindi pari a 20 euro * 15 lavoratori * 18 giorni = 5.400 euro.
Essendo superiore al minimo di 5.000 euro previsto dall’art. 1, comma 6, D.Lgs n. 8/2016, si applica la sanzione calcolata. L’importo è poi soggetto alle riduzioni ex art. 16, Legge n. 689/1981, dando luogo ad una sanzione effettiva pari a 1.800,00 euro (1/3).

mercoledì 5 settembre 2018

L’utilizzo pericoloso dei social network

Negli ultimi tempi, l’impiego dei social network è divenuto tale da parlare oramai di abuso, specialmente per le applicazioni di chat come Whatsapp. Essa ha molteplici usi che possono essere sia utili sia dannosi.

Per quanto riguarda i rapporti di lavoro, da alcune sentenze recenti si evince che conversare su Whatsapp rischia di essere estremamente pericoloso, soprattutto quando le confidenze riguardano questioni lavorative o si svolgono durante l’orario di lavoro. I giudici stanno infatti allargando le possibilità dell’utilizzo in giudizio delle conversazioni fra privati in gruppi o con singoli destinatari: tutti possono dar luogo a licenziamenti o sanzioni disciplinari. Dal momento che i messaggi Whatsapp sono prove documentali che possono essere prodotte anche quando il datore di lavoro non è tra i destinatari della chat, ha quindi valore giudiziario, per esempio, la registrazione di una conversazione Whatsapp inviata da un dirigente all’amministratore unico che denota un atteggiamento ostile o di protesta dei lavoratori verso l’azienda e ne giustifica il licenziamento.
Ciò perché l'ordinanza del 27 giugno 2017 del Tribunale di Catania ha ritenuto legittimo, sotto il profilo della sussistenza della forma scritta e della validità della sua comunicazione, il licenziamento intimato a mezzo Whatsapp.
Essa ha stabilito che un dipendente può essere lasciato a casa anche tramite social network, ritenendo che il licenziamento "intimato su Whatsapp" assolva agli oneri di forma che ogni interruzione di rapporto di lavoro deve rispettare. Per licenziare non è infatti necessario per il datore di lavoro adoperare determinate formule, visto che la volontà di licenziare può essere comunicata al lavoratore anche in forma indiretta, purché chiara.
Legittima è infine la sanzione disciplinare impartita ad un lavoratore che chatta via Whatsapp, risultando online, o che posta messaggi sui social network durante l’orario di lavoro in quanto è legittimo pretendere che le energie del dipendente si rivolgano soprattutto alle attività lavorative Per quanto riguarda l’utilizzabilità in giudizio, di recente, nella valutazione delle strategie difensive in un processo, si tengono sempre più in considerazione non solo le conversazioni orali che possono essere facilmente registrate di nascosto con uno smartphone e, se non contestate, possono inchiodare l’avversario; ma anche gli scritti che possono ugualmente fornire una valida prova. Vi sono molteplici sentenze al riguardo che affermano la legittimità di questa testimonianza documentale, ai sensi dell'articolo 234 del codice di procedura penale, il quale contempla la possibilità di acquisire in giudizio anche documenti che rappresentano fatti, persone o cose attraverso la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo.