Cerca nel blog

venerdì 18 gennaio 2013

Tempo (orario) di Viaggio

Il Dlgs n. 66/2003 –art. 8, comma 3- anche se ai soli fini del calcolo del superamento dei limiti, non computa come orario di lavoro il tempo impiegato per recarsi sul posto di lavoro ed il relativo ritorno, salvo diverse disposizioni dei contratti collettivi.

È orientamento costante della Corte di cassazione (n. 5775 dell’11.4.2003; n. 5701 del 22.3.2004; n. 5496 del 14.3.2006) ritenere che il tempo necessario per raggiungere il luogo di lavoro rientri nell’orario di lavoro e sia quindi computabile come prestazione lavorativa qualora lo stesso sia prestato in dipendenza del rapporto di lavoro e sia funzione al rapporto stesso, in quanto indispensabile alla prestazione principale. In particolare, per la cassazione sussiste il carattere della funzionalità quando il dipendente, obbligato a presentarsi presso la sede aziendale, sia poi di volta in volta destinato in diverse località per svolgervi la sua prestazione lavorativa.
Analogamente deve riconoscersi sussistere la funzionalità, in generale, in tutte quelle ipotesi in cui il lavoratore sia obbligato dal datore di lavoro, per ragioni inerenti alla prestazione, a risiedere in un determinato luogo, sì che lo spostamento da questo alla sede aziendale per lo svolgimento delle ordinarie attività lavorative sia senz’altro computabile nell’orario di lavoro.

Per valutare, invece, se il recarsi dei dipendenti in un luogo cosiddetto di “raduno”, costituito da un magazzino contenente attrezzi e/o dove vi sono spogliatoi e da cui gli stessi si muovono successivamente per raggiungere i vari cantieri di lavoro, sia attività funzionale o meno alla prestazione lavorativa, sempre per Suprema Corte (Cass. N. 5701/2004) occorre verificare se raggiungere quel luogo di raccolta sia indispensabile o comunque dettato da esigenze organizzative.
A tal proposito si ritiene che il periodo in questione non rientri nell’orario di lavoro nel momento in cui il lavoratore sia libero di decidere se raggiungere o meno il punto di raccolta o presentarsi direttamente sul luogo ove è tenuto ad effettuare la sua prestazione lavorativa, utilizzando mezzi di sua proprietà.

Sulla scorta delle citate sentenze della Cassazione , il Ministero del lavoro, nell’interpello n. 13/2010, ha chiarito che 2ove l’accesso al punto di raccolta costituisca una mera comodità per il lavoratore (potendo questi recarsi in cantiere anche con mezzi propri), l’orario di lavoro decorre dal momento in cui il lavoratore è a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività presso il cantiere. Viceversa, se è richiesto di recarsi al “punto di raccolta” per utilizzare un particolare mezzo di trasposto o per reperire la strumentazione necessaria o, comunque, di porsi a disposizione del datore di lavoro presso detto “punto di raccolta” entro un determinato momento (ad esempio per esigenze organizzative datoriali), è a partire da quest’ultimo che deve computarsi l’orario di lavoro”.
A titolo esemplificativo si può quindi ritenere che il tempo impiegato per raggiungere il punto di raccolta sia da computare nell’orario di lavoro quando i lavoratori in quel luogo:
·        siano invitati per prendere un determinato mezzo di trasporto su indicazione del datore di lavoro;
·        prendano strumenti, attrezzature di lavoro, indumenti, dispositivi di  protezione ecc.;
·        vengano informati di  volta in volta delle diverse destinazioni da raggiungere per svolgere la prestazione lavorativa;
·        vengano raggruppati cos’ da formare squadre da inviare nei diversi cantieri,
·        abbiano a disposizione locali ad uso spogliatoio, refettorio, scaldavivande, servizi igienico-sanitari ecc., come previsto dalla contrattazione collettiva.

Ad ogni modo occorre sempre verificare i contratti collettivi che possono disciplinare la materia anche in maniera diversa.
Per quanto riguarda, invece, il tempo impiegato dal lavoratore per raggiungere la sede di lavoro durante la trasferta, il ministero del lavoro (interpello n. 15/2010) ha affermato che lo stesso “non costituisce esplicazione dell’attività lavorativa ed il disagio che deriva al lavoratore è assorbito dall’ indennità di trasferta. D’altro canto la giurisprudenza, seppure con riferimento alla nozione di orario di lavoro effettivo dettata dal Rd n. 692/1923, ha negato costantemente che il tempo di viaggio in occasione della trasferta possa rientrare nell’esplicazione dell’attività lavorativa (v. in tal senso Cass. n 1202 del 3.2.2000; n.5359 del 10.4.2011, n.1555 del 3.2.2003 e del Consiglio di Stato n.8522 del 24.12.2003) evidenziando che il disagio psico-fisico e materiale del lavoratore vinee compreso dall’indennità di trasferta”.
Anche per quanto riguarda il trattamento delle ore di viaggio dei lavoratori inviati in trasfert<, occorre verificare sempre la disciplina della contrattazione collettiva.

Nessun commento:

Posta un commento